Tracce 05 Gennaio 2018

Sostenibilità ambientale

Iniziamo con alcuni numeri:
Il consumo globale di carne è passato da 45 milioni tonnellate del 1950 a 233 milioni di tonnellate nell'anno 2000 e la FAO prevede che entro il 2050 si arriverà a 465 milioni di tonnellate.

Secondo la FAO nel 2007 son stati macellati 56 miliardi di animali esclusi i pesci.  
La produzione di latte è passata da 280 milioni di tonnellate nel periodo 1999-2001 e prevede si arrivi a 1043 milioni di tonnellate entro il 2050.  
Nei paesi come la Cina il consumo di carne pro-capite è passato dai 13 kg del 1980 ai 53 kg del 2004.
 
L’'agricoltura è una delle più grandi cause di inquinamento del pianeta. I grandi cambiamenti avvenuti con la "rivoluzione verde" hanno portato ad un processo tecnologico dettato dalla illusione della chimica e dalla perdita del contatto dell'uomo con la natura.
Il modello industriale (lineare) si è trasferito anche all’'agricoltura con la Rivoluzione Verde: fertilizzanti e pesticidi, sementi ibride, energia fossile, rottura del ciclo in nome della produttività, impiego di macchinari sempre più sofisticati hanno determinato una incompatibilità dei moderni metodi agricoli con gli ecosistemi naturali, ompromettendo sia la biodiversità naturale che quella agricola, frutto di secolare attività degli uomini delle diverse regioni del pianeta.
Ogni anno si svolge l'Overshoot Day: in “quel giorno” l'umanità ha finito di consumare le risorse che il pianeta produce in modo sostenibile in un intero anno. Da quel momento fino a fine anno l'umanità si "indebita" con ilPpianeta perchè consuma di più di quanto sarebbe ammissibile e il Pianeta va "in rosso": un fatto che non si può ovviamente ripetere all'infinito! Dobbiamo prendere provvedimenti!
Attualmente nel mondo viene prodotto tanto cibo da sfamare 12-15 miliardi di persone. Perché milioni di persone muoiono di fame? Perché questo cibo viene utilizzato per nutrire gli animali da allevamento. Purtroppo però si deforestano aree enormi in tutto il pianeta per produrre grano, soia mais che diventeranno mangimi.
Per produrre 1 kg di carne servono 9 kg di mangimi, secondo la FAO le diete carnivore stanno distruggendo il pianeta sottraendo cibo e risorse a milioni di persone.
 
 
INEFFICIENZA ALIMENTARE E RAPPORTO SVANTAGGIOSO 
L'economista Frances Moore Lappé nel libro "Diet for a small planet" afferma che gli animali allevati sono “fabbriche di proteine alla rovescia” in quanto rappresentano quello che lui definisce un RAPPORTO SVANTAGGIOSO: l'indice di conversione alimentare in un manzo va da 7 a 10 (questo significa che per crescere di un chilo di peso corporeo ad un manzo servono da 7 a 10 kg di mangime di norma costituito da cereali e leguminose). Un manzo che al momento della macellazione pesa circa 600 kg avrà consumato circa 4000-5000 kg di mangime. Teniamo conto che quei 600 kg non sono netti, lo scarto oscilla dal 54% al 74%.  
Oltre a questo la produzione di carne richiede un vasto uso di risorse alimentari: 1/3 della produzione mondiale di cereali (745 milioni di tonnellate nel 2007) viene usata come cibo per gli animali allevati. Il 60% del mais e il 70% della soia vengono impiegati come mangime.  
Sempre Frances Moore Lappè ha osservato come negli USA, nel 1979, al bestiame siano state somministrati 145 milioni di tonnellate di cereali e soia, e di queste solo 21 milioni sono tornate ad essere disponibili per l'alimentazione umana sotto forma di carne e uova, "Il resto, equivalente a circa 124 milioni di tonnellate di cereali e soia, è stato sottratto al consumo umano". Lappè ha calcolato che se queste 124 milioni di tonnellate di cereali e soia fossero state convertite per l'alimentazione umana, avrebbero fornito «l'equivalente di una ciotola di cibo per ogni essere umano del pianeta per un intero anno». È stato stimato che un ettaro coltivato a patate e un ettaro coltivato a riso sono in grado di provvedere al nutrimento annuo rispettivamente di 22 e 19 persone, mentre un ettaro destinato alla produzione di manzo è sufficiente per il nutrimento annuo di una sola persona. 
Per ogni chilogrammo di proteine animali prodotte, occorrono circa 6 chilogrammi di proteine vegetali. A causa di questo svantaggioso rapporto di conversione proteica, la produzione di proteine dalla carne necessita da 6 a 17 volte più terra rispetto all'equivalente quantitativo di proteine fornite dai vegetali: un ettaro coltivato a cereali fornisce cinque volte più proteine di un ettaro destinato alla produzione di carne, i legumi ne forniscono dieci volte di più, i vegetali a foglia quindici volte di più e gli spinaci ventisei volte di più.
 
INQUINAMENTO IDRICO
Come afferma la FAO "l'evidenza suggerisce che il settore dell'allevamento è la più importante fonte di inquinanti delle acque, principalmente deiezioni animali, antibiotici, ormoni, sostanze chimiche delle concerie, fertilizzanti e fitofarmaci usati per le colture foraggere e sedimenti dai pascoli erosi".
Risulta inquinante sia la zootecnia estensiva sia quella intensiva, quella intensiva ovviamente con numeri molto più elevati. l'inquinamento delle acque deriva dai liquami e dalle deiezioni che nella zootecnia intensiva sono carichi di contaminanti ambientali quali azoto e fosforo, metalli pesanti, residui farmacologici e contaminanti biologici di natura batterica e virale. Secondo il Worldwatch Institute, solo in Cina vengono prodotte ogni anno 2,7 miliardi di tonnellate di deiezioni animali, una quantità pari a 3,4 volte la quantità di rifiuti solidi prodotti dall'intera popolazione cinese.
Secondo stime della FAO, a livello globale, gli allevamenti sono responsabili di 135 milioni di tonnellate di azoto e 58 milioni di tonnellate di fosforo depositati nell'ambiente ogni anno.
Un'eccessiva concentrazione di questi nutrienti nelle acque determina iperstimolazione delle piante acquatiche e delle alghe e conseguente eutrofizzazione, produce sapori e odori sgradevoli e favorisce un'eccessiva crescita batterica e la propagazione di microrganismi nei sistemi di distribuzione con rischi per la salute umana.
I mangimi inoltre possono contenere metalli pesanti quali rame, zinco, selenio, cobalto, arsenico, ferro e manganese.
I residui farmacologici rappresentano un altro importante rischio. Negli allevamenti odierni l'uso di antibiotici e ormoni è molto diffuso, per motivi terapeutici ma più spesso per motivi non terapeutici quali profilassi delle malattie e incremento della crescita o della produzione dell'animale. Nei paesi sviluppati i farmaci usati nella zootecnia rappresentano una quota elevata del totale nazionale, ad esempio negli USA oltre il 70% degli antibiotici usati sono somministrati agli animali allevati.
La contaminazione delle acque con agenti antimicrobici provoca un antibiotico-resistenza nei batteri, mentre la presenza di sostanze ormonali disciolte può avere effetti sulle colture e può provocare alterazioni del sistema endocrino negli esseri umani e negli animali selvatici.
La zootecnia è inoltre responsabile della dispersione nelle acque di altre sostanze di uso sanitario, quali ad esempio detergenti, disinfettanti o antiparassitari e altre varietà di contaminanti biologici di natura batterica e virale (escherichia coli, salmonella etc)
Sempre secondo i dati FAO, «la produzione di mangime e foraggio, l'applicazione del concime sulle colture, e l'occupazione delle terre dei sistemi estensivi, sono tra i principali fattori responsabili degli insostenibili carichi di nutrienti, fitofarmaci e sedimenti nelle risorse d'acqua del pianeta. Negli Stati Uniti, per esempio, il volume di erbicidi utilizzati nel 2001 per mais e soia destinati alla zootecnia raggiungeva le 74 600 tonnellate, corrispondente al 70% del totale di erbicidi usati in agricoltura.
 
CONSUMO DI TERRA
La FAO afferma che "il settore dell'allevamento rappresenta, a livello mondiale, il maggiore fattore d'uso antropico delle terre": direttamente e indirettamente, la moderna zootecnia complessivamente utilizza il 30% dell'intera superficie terrestre non ricoperta dai ghiacci e il 70% di tutte le terre agricole creando deforestazione e degradazione del suolo (sfruttamento pascoli, compattamento del terreno e soprattutto desertificazione per uso pesticidi e fertilizzanti sintesi.
Si stima che circa il 40% della superficie terrestre sia occupata da attività di agricoltura e di allevamento. Negli ultimi 40 anni si è vista una forte crescita di quest’area, principalmente dovuta alla cosiddetta “Rivoluzione Verde”, che ha portato al raddoppio della produzione di grano mondiale, alla crescita del 12% dell’area riservata ai cereali e all’aumento del 700% di uso di fertilizzanti rispetto agli anni ’50-’60.
La deforestazione per scopi di allevamento viene fatta direttamente per procurare terra agli animali da pascolo, oppure per le coltivazioni destinate a produrre cibo per gli animali. Un’altra causa di deforestazione, soprattutto nell’Estremo Oriente, è la coltivazione di olio di palma che ha, anch’essa, causato molte polemiche nei mesi passati: nel periodo 1990-2005 si stima che siano stati deforestati almeno 1 milione di ettari di foresta (10.000 km²) in Malesia e almeno 1.8 milioni di ettari (18.000 km²) in Indonesia per far posto a questa coltivazione. In 15 anni tra Indonesia e Malesia è scomparsa un'area di almeno 28.000 km² di foresta per l’olio di palma (ossia un'area più vasta del Piemonte).
Le superfici occupate dall’agrozootecnia sono oggi destinate per il 69% al pascolo e per il restante all’agricoltura: la maggior parte dello sfruttamento del suolo per uso umano è dovuto all’allevamento. L’agricoltura però può causare danni ambientali maggiori rispetto all’allevamento a causa dello sfruttamento intensivo di terra, causando soprattutto la degradazione della qualità dell’acqua, la salinizzazione e l’erosione del suolo.
 
Per sfamare per un anno intero una persona con una dieta vegana servono 700 mq, ad una persona vegetariana servono 2100 mq mentre ad una persona onnivora ben 12.600 mq.
 
Prendiamo in considerazione anche altri dati:
la superficie delle terre emerse è di 15 miliardi di ettari
la superficie agricola coltivata è di 5 miliardi di ettari
la popolazione umana conta 7,4 miliardi di persone
quindi
se tutti fossero vegani basterebbero 518 milioni di ettari
se tutti fossero vegetariani 1554 milioni di ettari
se tutti fossero onnivori addirittura 9,324 miliardi di ettari che è molto più delle superfici coltivate ora.
A voi le riflessioni
 
CONSUMO DI ACQUA 
In uno studio del 2008 condotto dall'Institute for Ecological Economy Research di Berlino si legge che, per quanto riguarda il consumo idrico, è stato osservato che la produzione di cibo per un giorno per una persona che segue una dieta a base di cibi animali necessita di 15 100 litri di acqua, 4500 per chi segue una dieta latto-ovo-vegetariana, mentre ne sono sufficienti solo 1100 per chi segue una dieta vegana: tale dieta richiede pertanto meno acqua nel corso di un anno rispetto a quanta ne occorre per una dieta a base di cibi animali per un solo mese.
"Si risparmia piu' acqua rinunciando a mezzo chilo di manzo che a non fare la doccia per un anno" John Robbins, The Food Revolution
 
Impronta Idrica (litri per 1 kg di prodotto)
Carne manzo - 15400
Formaggio - 5060
Carne pollo - 4330
Uova - 3330
Riso - 2500
Grano - 1827
Pane - 1608
Latte mucca - 1020
Zucca - 350
Patate - 290
Lattuga - 240
 
Secondo altre stime per produrre carne di manzo sono necessari fino a 100.000 litri acqua per kg di carne.
Teniamo conto infatti che per abbeverare un manzo servono fino a 80 l acqua/giorno, per una mucca da latte in estate anche 200 litri acqua/giorno. Per pulire stalle, animali, per gestire i sistemi raffreddamento e la macellazione ma soprattutto per produrre foraggio servono circa 2300 miliardi di mc annui su scala globale.
Secondo l'UNESCO-IHE Institute for Water Education "considerando il consumo di risorse d'acqua dolce, si dimostra più efficiente ottenere calorie, proteine e grassi dai prodotti vegetali rispetto ai prodotti animali".
 
CONSUMO COMBUSTIBILE FOSSILE
La conversione da cereali a carne implica un'enorme perdita di energia, specialmente se per la conversione si utilizzano i bovini. La quantità media di combustibile fossile necessario a produrre 1 kcal di proteine dalla carne è di 25 kcal, vale a dire 11 volte tanto rispetto a quello necessario per la produzione di grano, che ammonta a 2,2 kcal circa. Il rapporto è di 57:1 per la carne di agnello, 40:1 per quella di manzo, 39:1 per le uova, 14:1 per il latte e la carne di maiale.   
 
INQUINAMENTO DELL'ARIA - GAS SERRA
Nel 2006 la FAO ha stimato che i processi coinvolti nell'allevamento di animali generano una produzione di gas serra equivalente al 18% delle emissioni globali prodotte dalle attività umane, una quota questa superiore a quella relativa all'intero settore dei trasporti (stradali, aerei, navali e ferroviari), responsabile del 13,5% di gas nocivi.
Nei sistemi di allevamento intensivo a ridotte emissioni di gas serra la produzione di 225 g di carne di manzo produce emissioni CO2 equivalenti pari a quelle generate da un viaggio in auto di 15,8 km, 4,1 km per la stessa quantità di carne di maiale e 1,17 km per la stessa quantità di carne di pollo, mentre 225 g di asparagi (tra i vegetali a più alto impatto nella produzione di gas serra) corrispondono a guidare un'auto per 440 metri e 225 g di patate corrispondono a guidare un'auto per 300 metri.
I Gas Serra in agricoltura vengono prodotti da: il metano originato dal processo digestivo e prodotto dalle flatulenze, dalla deforestazione (vengono usati incendi per deforestare e la deforestazione pesa anche come mancanza  di organismi boschivi che "puliscano" l'aria.
Sia allevamento che agricoltura sono fonti di gas serra. Si stima che entrambi i settori, congiuntamente, siano responsabili del 14% circa dell’attuale riscaldamento antropogenico, in particolare sono responsabili del 47% delle emissioni antropogeniche di metano e del 57% delle emissioni di N2O. Le emissioni legate alla agri/zootecnia sono cresciute negli ultimi 10 anni del 17%.
 
PESCA
La pesca marittima è considerata il principale fattore antropogenico di impatto sugli ecosistemi marini di tutto il mondo.
Dal 1950 al 2006 il 29% delle specie marine commerciali è collassata (ovvero ha subito una perdita del 90% o oltre).
A livello globale circa l'8% del pescato totale viene scartato in quanto pesce non commerciale o piccolo per gli standard. In alcuni casi si arriva a percentuali di scarto molto elevate, ad esempio in alcuni tipi di pesca a strascico dei gamberi il tasso di catture accidentali può raggiungere anche il 90% del pescato. Si stima che ogni anno quasi 100 milioni di squali e di razze e circa 300 000 cetacei (balene, delfini e altre specie) siano vittime della pesca accidentale. Gli uccelli marini invece vengono attratti dalle esche superficiali usate in alcune tecniche di pesca, vi si lanciano contro per mangiarle, ingoiano gli ami e vengono trascinati sott'acqua annegando: circa 100 000 esemplari di albatros ogni anno muoiono in questo modo.
ACQUACOLTURA: occorrono dai 2,5 ai 5 kg di pesce pescato e trasformato in mangime per produrre un solo chilo di pesce d'acquacoltura, ma per alcune specie la quantità di pesce necessario è maggiore: ad esempio, per ingrassare un tonno di un solo chilogrammo, sono necessari da 20 a 25 kg di pesce. Si stima che, solo nel Mediterraneo, per l'ingrasso dei tonni vengano utilizzate ogni anno 225 000 tonnellate di pesce, proveniente per lo più dai mari dell'Africa occidentale, dell'Oceano Atlantico e dell'America. Per la sardella d'Africa nel Mare di Alboran, la cui pesca intensiva pone a repentaglio la vita delle colonie delfine presenti nel Mediterraneo, che si nutrono di questo pesce.
Un ulteriore problema connesso all'acquacultura è la dispersione nell'ambiente di sostanze e microorganismi nocivi: dalle reti di allevamento poste in mare aperto escono contaminanti come additivi chimici, residui antibiotici, disinfettanti, deiezioni e scarti di mangime, insieme a parassiti di vario genere, si depositano sui fondali o si disperdono nel mare, contaminando le acque e decimando la popolazione ittica locale. Per gli allevamenti di salmone, una delle specie allevate con il maggior incremento produttivo, sono stati accertati vari casi di impatto sull'ambiente, che comprendono una notevole riduzione (fino al 50%) della biodiversità nei dintorni delle gabbie, una diminuzione del livello di ossigeno nelle acque e una crescita eccessiva di alghe planctoniche responsabili della produzione di tossine nocive sia per gli organismi marini che per gli esseri umani: i sistemi di acquacoltura poi distruggono foreste marine e i fondali.
 
Secondo la FAO "il settore zootecnico può essere considerato il principale fattore nella riduzione della biodiversità"
I conflitti tra allevatori e fauna selvatica esistono fin dall'origine della domesticazione degli animali. Inizialmente nelle comunità pastorizie la principale minaccia ravvisata dai pastori consisteva nella predazione dei grandi carnivori, che ha portato a vaste campagne di sterminio di questi animali in diverse regioni del mondo: in Europa ciò ha provocato l'estinzione locale di numerose specie, tra cui orsi e lupi, mentre in Africa ha determinato una pressione costante sulle popolazioni di leoni, ghepardi, leopardi e cani selvatici.
 
CONSUMO SOSTENIBILE
l'impatto dei singoli individui è dovuto a tre fattori principali: il cibo, l'energia usata in casa e i trasporti, e di questi tre fattori, il cibo, ovvero ciò che il singolo decide di mangiare, rappresenta il più importante, poiché è quello che ha il maggiore impatto sull'ambiente, si trova sul più alto livello di scelta personale poiché non dipende da normative nazionali o sovranazionali, dalla disponibilità di mezzi pubblici o di fonti di energia alternativa, ecc., ma solo dalla decisione del singolo consumatore, e può essere modificato immediatamente, in quanto non occorre attendere i tempi che possono essere necessari per altre soluzioni che implicano cambiamenti nelle infrastrutture, nei beni disponibili o nella tecnologia usata.
Nel 2012, nel corso della settimana mondiale dell'acqua, il SIWI (Stockholm International Water Institute) ha presentato un report in cui ha avvertito che "non ci sarà abbastanza acqua disponibile per produrre cibo per una popolazione di 9 miliardi di persone prevista per il 2050, se si continueranno a seguire le attuali tendenze verso la dieta comunemente adottata nei paesi occidentali", e proponendo una drastica riduzione del consumo di proteine animali fino ad arrivare ad una quota pari al 5% delle proteine totali assunte con la dieta. Gli scienziati, nella presentazione del report, hanno affermato che l'adozione di una dieta vegetariana può offrire la possibilità di aumentare la disponibilità di acqua per produrre più cibo.
Una dieta vegana sarebbe la scelta alimentare più vantaggiosa dal punto di vista ambientale. Ad esempio, per quanto riguarda le emissioni di gas serra, da uno studio del 2008 condotto dall'Institute for Ecological Economy Research di Berlino e volto ad indagare l'impatto dell'agricoltura e dell'allevamento sull'effetto serra, emerge che, rispetto ad una dieta vegana, una dieta latto-ovo-vegetariana ha un impatto di quasi 4 volte superiore, e una dieta a base di cibi animali ha un impatto di circa 7,5 volte superiore.
Per quanto riguarda il consumo idrico, è stato osservato che la produzione di cibo per un giorno per una persona che segue una dieta a base di cibi animali necessita di 15 100 litri di acqua, 4500 per chi segue una dieta latto-ovo-vegetariana, mentre ne sono sufficienti solo 1100 per chi segue una dieta vegana: tale dieta richiede pertanto meno acqua nel corso di un anno rispetto a quanta ne occorre per una dieta a base di cibi animali per un solo mese.
L'impatto ambientale, oltre che sociale, dell'allevamento degli animali - con particolare riferimento alle mandrie bovine - è stato esaminato e rivelato per la prima volta al grande pubblico nel 1992 con il celebre saggio Ecocidio di Jeremy Rifkin. L'autore, fin dall'introduzione, avvisava della nefasta influenza della moderna zootecnia mondiale sull'ambiente e dell'urgenza di una soluzione radicale:
"Per un pubblico abituato a pensare ai problemi ambientali esclusivamente in termini di gas di scarico delle automobili, scarichi industriali, materiali tossici e radioattivi, probabilmente la dimensione della distruzione ambientale provocata dal moderno allevamento di bestiame costituirà una sorpresa. Eppure, la devastazione ecologica provocata dalla popolazione bovina mondiale sopravanza altre numerose e più visibili fonti di rischio ambientale. [...] Lo smantellamento del complesso bovino mondiale e l'eliminazione della carne dalla dieta umana sono un obiettivo fondamentale dei prossimi decenni, se vogliamo avere qualche speranza di rimettere in salute il pianeta e di dare nutrimento alla popolazione umana in continua crescita".
 
DIETA MEDITERRANEA E BIODIVERSITA'
La Dieta Mediterranea fu definità così da Angel Keys. Angel Keys, biologo, fisiologo e nutrizionista seguì ampi programmi legati all'alimentazione durante la seconda guerra mondiale (fu lui ad inventare la "razione K") e nel 1951 venne in Italia per condurre alcuni studi e rimase sorpreso dalla bassa incidenza di malattie cardiovascolari e disturbi gastrointestinali della zona del Cilento.
Come dice Keys in un suo stidio: "pasta in many forms, leaves sprinked with olive oil, all kinds of vegetables in season, and often cheese, all finished off with fruit and frequently was-hed down with wine" (vari tipi di pasteasciutte, ortaggi a foglia conditi con olio di oliva, tutti gli ortaggi di stagione, spesso il formaggio, la frutta che conclude il pasto e il vino che lo annaffia!). Nella dieta mediterranea del Cilento nel 1954 i cereali sotto forma di pane e di pasta (spesso fatta in casa, "le llane" che accompagnavano i fagioli) rappresentavano oltre il 60% delle calorie totali che venivano assunte con i pasti.
 
I grassi di condimento (più spesso l'olio di oliva) rappresentava il 16-18%; gli ortaggi e la frutta l'8-10%, le carni, il pesce e le uova non più del 10% delle calorie totali. Il resto era rappresentato da una spolverata di "cacio" di capra sui maccheroni. Quando nel 1954 l'alimentazione del Cilento veniva così descritta, non si era ancora raggiunta la conclusione che questo mangiare "meridiano" (perché tipico del mezzogiorno, piuttosto che Mediterraneo che comprende anche, come è noto, molte altre realtà alimentari, tra cui quelle di rilevante importanza dei paesi del Magreb africano) sarebbe stato successivamente  considerato paradigmatico di una alimentazione protettiva nei riguardi di una patologia cardiovascolare.
 
Quanto riferiscono gli anziani del Cilento è assai significativo. Mezzo secolo fa le popolazioni agricole vivevano essenzialmente dell'agricoltura per cui "quando si faceva giorno si andava sui campi e quando
giungeva la notte si andava a dormire". Il lavoro era pesante e la vita di relazione non dava spazi alla competizione tra gli individui e alle frustrazioni degli uni rispetto agli altri. Era presente una notevole rassegnazione della condizione umana a cui era necessario abituarsi. Questo stile di vita si rifletteva in tutti i comportamenti delle persone, tra cui lo stile alimentare e la frugalità del pasto che accompagnava come ancora oggi accompagna il rigore nelle preparazioni del cibo
 
Ma la cosa più importante è che i nostri avi, bisnonni e nonni conoscevano il significato di biodiversità, raccoglievano erbe spontanee, frutti e verdure che oggi magari non conosciamo nemmeno e fanno parte di un patrimonio da riscoprire.

Parte dei dati riportati qui sopra sono stati presi da Wikipedia.

Last modified on 09 Gennaio 2018